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Netbreakers - newsletter che analizza il mondo digitale
Numero 05 - Data 05/07/2020 - Made with ❤ for Inforge
Oggi parliamo di:
Tuttavia la discussione che abbiamo affrontato durante l’appuntamento “Live” (intorno al 30 esimo minuto) relativamente ad Apple che sembrerebbe intenzionata a non includere più con suoi iPhone le sue “Ear Pods” e il suo caricabatterie da 18W, mi ha fatto sorgere delle domande. Come le aziende stanno affrontando il problema dell’inquinamento?
Da questa domanda nasce questa piccola “inchiesta”.
Secondo il report della “Global E-Waste Statistics Partnership” nel 2019 è stato raggiunto un nuovo record, in negativo, sono state generate nel mondo 53.6 milioni di tonnellate di e-waste. Ogni persona sulla terra ha generato circa 7.3 Kg di rifiuti elettronici.
Rifiuti elettronici di una discarica a Agbogbloshi in Ghana
L’e-waste è composta da parti elettroniche di telefoni, computer, elettrodomestici e altri gadgets. La produzione di rifiuti “smart” è aumentata del 21% dal 2014. La quantità di e-waste maggiore è stata prodotta in Asia con circa 24.9 milioni di tonnellate. Le Americhe e l’Europa hanno prodotto rispettivamente 13.1 e 12 milioni di tonnellate.
In Europa il numero di rifiuti prodotto a persona risulta più alto con circa 16.2 kg a testa. Mentre in Asia è soltanto di 5.6 kg. Tuttavia in Europa viene raccolto e ricilato il maggior numero dei rifiuti elettronici (5.1 milioni di tonnellate). Mentre nelle Americhe ne vengono riciclate soltanto 1.2 milioni di tonnellate e in Asia 2.9 milioni di tonnellate.
Quindi in tutto il mondo soltanto il 17% di questi rifiuti viene riciclato, la maggior parte viene inviata in una discarica o incenerita oppure “perduta” probabilmente disperdendosi nell’ambiente. Il report nasce con lo scopo di monitorare il progresso globale nella gestione dei rifiuti elettronci, invece ci si è trovati a constatare un peggioramento.
Se le cose dovessero rimanere immutate la situazione andrà solo a peggiorare, secondo le stime infatti la quantità di rifiuti elettronici prodotti nel 2014 raddoppierà entro il 2030.
Secondo il report l’aumento è dovuto alla progressiva “elettrificazione” dei prodotti consumer a partire dal mercato dei giocattoli, che sempre più sono dotati di batterie, per poi arrivare agli smartphone, alle televisioni e ai computer.
Questa gestione fallimentare dei rifiuti elettronici, rappresenta un grave problema di salute, poiché avvelenano l’ambiente e le persone che vi entrano in contatto. 50 tonnellate di mercurio sono contenute nella percentuale di rifiuti di cui si è persa traccia, probabilmente rilasciati nell’ambiente. Il mercurio è una neurotossina che colpisce il cervello e la sua ingestione può condizionare il corretto sviluppo del cervello dei bambini.
L’e-waste non è soltanto spazzatura, ma è una vera e propria miniera di risorse, infatti secondo le stime vale circa 57 miliardi di dollari in oro, rame e ferro e altri minerali.
Queste risorse possono essere ottenute solo riciclando correttamente l’e-waste prodotta durante lo scorso anno. Riutilizzando questi materiali inoltre si può lenire il danno ambientale derivato dall’estrazione di nuovi minerali.
I piccoli prodotti elettronici come le videocamere, i giocattoli elettronici e rasoi elettrici e i forni a microonde e le aspirapolveri, costituiscono la maggior parte dei rifiuti elettronici (17.4 milioni tonnellate). L’altra parte è formata da grandi prodotti elettronici come le lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi (13.1 milioni di tonnellate). I prodotti per le telecomunicazioni, come cuffie e smartphones hanno prodotto circa 5 milioni di tonnellate di rifiuti.
Gli esperti hanno constatato come la domanda di elettronici cresce nei paesi dove vi è un aumento del reddito della classe media. Le persone che prima non potevano acquistare prodotti elettronici sono ben felici di farlo. La gestione di questi rifiuti rappresenta quindi una sfida per tutta l’umanità.
Secondo Scott Cassel il fondatore dell’associazione noprofit Product Stewardship Institute, le grandi aziende di elettronica fanno un ottimo lavoro per progettare prodotti soddisfacenti ed efficenti, ma la velocità con cui cambia la domanda e la ricerca di profitti sempre più elevati, rende necessario progettare questi prodotti con un’obsolescenza programmata, se non effettiva quanto psicologica, cosicché il nuovo e sfavillante gadget di oggi si tramuti, più facilmente, nella spazzatura di domani.
Per calare queste parole in un esempio reale, possiamo parlare di uno dei prodotti più venduti da Apple: le AirPods. Queste cuffie wi-fi dal loro arrivo sul mercato nel 2016 hanno raggiunto vendite stratosferiche, rappresentando per l’azienda un business da ben 6 miliardi di dollari nel 2019. Apple vende le sue AirPods a 159€ e la loro variante le AirPods Pro a 249€. Un bell’articolo del Washington Post esamina a lungo questo prodotto.
Riassumendo, le AirPods hanno una “vita media” di circa 25 mesi (per alcuni hanno funzionato fino ad un massimo di 36 mesi, per altri un minimo di 18), la batteria a litio presente al loro interno dopo questo periodo di tempo non mantiene più la carica, rendendole quindi inutilizzabili.
Non per nulla le AirPods detengono un punteggio di 0 punti su iFixit. Essendo incollate insieme infatti risultano impossibili da riparare. Infatti la stessa Apple sostituisce con nuove cuffie (per 98€) le AirPods con batteria esaurita. Potremmo quindi dire che le cuffie di Apple siano non solo costose per le nostre tasche ma anche per l'ambiente, così come anche le Echo Buds di Amazon e le Surface Earbuds di Microsoft.
Apple Insider inoltre ha analizzato a fondo l’Environmental Responsibility Report di Apple del 2019 (che copre però l’anno fiscale 2018). L’aumento dei rifiuti prodotti da parte di Apple anno dopo anno è innegabile, per quanto la maggiorparte venga riciclata, solo nel 2018 Apple ha mandato in discarica circa 18 milioni di tonnellate di rifiuti rispetto alle 3 milioni di tonnellate nel 2014.
Non sorprende quindi la decisione dell’azienda di tagliare accessori che ritiene “inutili” per i suoi clienti per cercare di aumentare sicuramente i suoi profitti, ma anche permettersi di continuare a fregiarsi del titolo di una delle aziende più “ecosostenibili” sul mercato come anche riportava GreenPeace nel 2017.
Speriamo quindi che anche altre aziende decidano di fare lo stesso, consapevoli di questa sempre più allarmante situazione ambientale.
Numero 05 - Data 05/07/2020 - Made with ❤ for Inforge
Oggi parliamo di:
- Aumento dell’e-waste e obsolescenza programmata come le grandi aziende affrontano il problema ambientale
Tuttavia la discussione che abbiamo affrontato durante l’appuntamento “Live” (intorno al 30 esimo minuto) relativamente ad Apple che sembrerebbe intenzionata a non includere più con suoi iPhone le sue “Ear Pods” e il suo caricabatterie da 18W, mi ha fatto sorgere delle domande. Come le aziende stanno affrontando il problema dell’inquinamento?
Da questa domanda nasce questa piccola “inchiesta”.
Secondo il report della “Global E-Waste Statistics Partnership” nel 2019 è stato raggiunto un nuovo record, in negativo, sono state generate nel mondo 53.6 milioni di tonnellate di e-waste. Ogni persona sulla terra ha generato circa 7.3 Kg di rifiuti elettronici.
Rifiuti elettronici di una discarica a Agbogbloshi in Ghana
L’e-waste è composta da parti elettroniche di telefoni, computer, elettrodomestici e altri gadgets. La produzione di rifiuti “smart” è aumentata del 21% dal 2014. La quantità di e-waste maggiore è stata prodotta in Asia con circa 24.9 milioni di tonnellate. Le Americhe e l’Europa hanno prodotto rispettivamente 13.1 e 12 milioni di tonnellate.
In Europa il numero di rifiuti prodotto a persona risulta più alto con circa 16.2 kg a testa. Mentre in Asia è soltanto di 5.6 kg. Tuttavia in Europa viene raccolto e ricilato il maggior numero dei rifiuti elettronici (5.1 milioni di tonnellate). Mentre nelle Americhe ne vengono riciclate soltanto 1.2 milioni di tonnellate e in Asia 2.9 milioni di tonnellate.
Quindi in tutto il mondo soltanto il 17% di questi rifiuti viene riciclato, la maggior parte viene inviata in una discarica o incenerita oppure “perduta” probabilmente disperdendosi nell’ambiente. Il report nasce con lo scopo di monitorare il progresso globale nella gestione dei rifiuti elettronci, invece ci si è trovati a constatare un peggioramento.
Se le cose dovessero rimanere immutate la situazione andrà solo a peggiorare, secondo le stime infatti la quantità di rifiuti elettronici prodotti nel 2014 raddoppierà entro il 2030.
Secondo il report l’aumento è dovuto alla progressiva “elettrificazione” dei prodotti consumer a partire dal mercato dei giocattoli, che sempre più sono dotati di batterie, per poi arrivare agli smartphone, alle televisioni e ai computer.
Questa gestione fallimentare dei rifiuti elettronici, rappresenta un grave problema di salute, poiché avvelenano l’ambiente e le persone che vi entrano in contatto. 50 tonnellate di mercurio sono contenute nella percentuale di rifiuti di cui si è persa traccia, probabilmente rilasciati nell’ambiente. Il mercurio è una neurotossina che colpisce il cervello e la sua ingestione può condizionare il corretto sviluppo del cervello dei bambini.
L’e-waste non è soltanto spazzatura, ma è una vera e propria miniera di risorse, infatti secondo le stime vale circa 57 miliardi di dollari in oro, rame e ferro e altri minerali.
Queste risorse possono essere ottenute solo riciclando correttamente l’e-waste prodotta durante lo scorso anno. Riutilizzando questi materiali inoltre si può lenire il danno ambientale derivato dall’estrazione di nuovi minerali.
I piccoli prodotti elettronici come le videocamere, i giocattoli elettronici e rasoi elettrici e i forni a microonde e le aspirapolveri, costituiscono la maggior parte dei rifiuti elettronici (17.4 milioni tonnellate). L’altra parte è formata da grandi prodotti elettronici come le lavatrici, lavastoviglie e frigoriferi (13.1 milioni di tonnellate). I prodotti per le telecomunicazioni, come cuffie e smartphones hanno prodotto circa 5 milioni di tonnellate di rifiuti.
Gli esperti hanno constatato come la domanda di elettronici cresce nei paesi dove vi è un aumento del reddito della classe media. Le persone che prima non potevano acquistare prodotti elettronici sono ben felici di farlo. La gestione di questi rifiuti rappresenta quindi una sfida per tutta l’umanità.
Secondo Scott Cassel il fondatore dell’associazione noprofit Product Stewardship Institute, le grandi aziende di elettronica fanno un ottimo lavoro per progettare prodotti soddisfacenti ed efficenti, ma la velocità con cui cambia la domanda e la ricerca di profitti sempre più elevati, rende necessario progettare questi prodotti con un’obsolescenza programmata, se non effettiva quanto psicologica, cosicché il nuovo e sfavillante gadget di oggi si tramuti, più facilmente, nella spazzatura di domani.
Per calare queste parole in un esempio reale, possiamo parlare di uno dei prodotti più venduti da Apple: le AirPods. Queste cuffie wi-fi dal loro arrivo sul mercato nel 2016 hanno raggiunto vendite stratosferiche, rappresentando per l’azienda un business da ben 6 miliardi di dollari nel 2019. Apple vende le sue AirPods a 159€ e la loro variante le AirPods Pro a 249€. Un bell’articolo del Washington Post esamina a lungo questo prodotto.
Riassumendo, le AirPods hanno una “vita media” di circa 25 mesi (per alcuni hanno funzionato fino ad un massimo di 36 mesi, per altri un minimo di 18), la batteria a litio presente al loro interno dopo questo periodo di tempo non mantiene più la carica, rendendole quindi inutilizzabili.
Non per nulla le AirPods detengono un punteggio di 0 punti su iFixit. Essendo incollate insieme infatti risultano impossibili da riparare. Infatti la stessa Apple sostituisce con nuove cuffie (per 98€) le AirPods con batteria esaurita. Potremmo quindi dire che le cuffie di Apple siano non solo costose per le nostre tasche ma anche per l'ambiente, così come anche le Echo Buds di Amazon e le Surface Earbuds di Microsoft.
Apple Insider inoltre ha analizzato a fondo l’Environmental Responsibility Report di Apple del 2019 (che copre però l’anno fiscale 2018). L’aumento dei rifiuti prodotti da parte di Apple anno dopo anno è innegabile, per quanto la maggiorparte venga riciclata, solo nel 2018 Apple ha mandato in discarica circa 18 milioni di tonnellate di rifiuti rispetto alle 3 milioni di tonnellate nel 2014.
Non sorprende quindi la decisione dell’azienda di tagliare accessori che ritiene “inutili” per i suoi clienti per cercare di aumentare sicuramente i suoi profitti, ma anche permettersi di continuare a fregiarsi del titolo di una delle aziende più “ecosostenibili” sul mercato come anche riportava GreenPeace nel 2017.
Speriamo quindi che anche altre aziende decidano di fare lo stesso, consapevoli di questa sempre più allarmante situazione ambientale.