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Netbreakers - newsletter che analizza il mondo digitale
Numero 01 - Data 06/06/2020 - Made with ❤ for Inforge
Oggi parliamo di:
E’ sicuramente un periodo molto particolare eravamo in procinto di tornare alle nostre vite dopo un’epidemia, non ancora conclusasi, ma un nuovo scenario di crisi sicuramente significativo per il mondo occidentale si sta aprendo, parlo chiaramente delle tumultuose proteste negli Stati Uniti per l’uccisione di George Floyd. Queste proteste sono lo sfondo violento, dei fatti che andremo a discutere.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump è un assiduo utilizzatore di social network infatti il suo profilo Twitter con oltre 30,4 milioni di followers è il suo mezzo preferito per permettere alla stampa e all’opinione pubblica di sapere quali sono i suoi pensieri e le sue opinioni in tempo reale. Giovedì 28 Maggio, durante la notte (Washington Time), il presidente decide di tweetare questa frase “When the looting starts, the shooting starts” riprendendo la frase pronunciata nel 1967 dal capo della polizia di Miami tale Walter Headley.
Due ore dopo l’invio del tweet, Twitter decide di “oscurarlo” rendendolo accessibile solo dopo aver letto la seguente dichiarazione “Questo tweet viola le regole di Twitter sulla glorificazione della violenza. Tuttavia, Twitter ha rilevato che è di pubblico interesse che questo contenuto rimanga accessibile”. Inoltre al fine di evitarne la capillare diffusione (tramite i retweet) ne disabilita la visione sul profilo degli altri utenti e ne disabilita le risposte, notificando gli utenti con una frase “Vorremmo prevenire che un tweet come questo che viola le nostre regole raggiungesse più persone per questo abbiamo limitato la possibilità di interagire con esso”. A quanto pare anche il pubblico a cui è “servito” il tweet del presidente tramite il feed è stato ristretto (in accordo alle policy di Twitter). La risposta da parte dell’amministrazione Trump non tarda ad arrivare, infatti Venerdì mattina il profilo ufficiale della White House invia lo stesso tweet mettendo tra virgolette le parole del presidente, anche in questo caso Twitter procede a oscurare il messaggio.
Lo scontro tra la politica e i social networks pare essere inevitabile, le piazze virtuali ormai non possono più sottrarsi al loro compito di “gestione” delle notizie e del contenuto, non possono più limitarsi a pubblicare qualsiasi cosa permettendone la diffusione e amplificandola, soprattutto se il contenuto errato o violento proviene dalle istituzioni. Così come un giornale non può pubblicare notizie palesemente false o distorte.
Trump quindi decide di emanare un ordine esecutivo per rivedere la “Sezione 230” del Communication Decency Act. Ma a questo torneremo dopo...Le azioni del presidente scatenano una risposta “fuori dal coro” infatti Mark Zuckerberg il CEO di Facebook non la pensa come Jack Dorsey il CEO di Twitter, dopo poche ore dall’avvenimento di quanto raccontato fino ad ora, rilascia a Fox News (una delle televisioni più vicine al presidente Donald Trump) una dichiarazione molto netta “I just believe strongly that Facebook shoudn’t be the arbiter of truth of everything that people say online” una visione diametralmente opposta a quella di Twitter.
Ma da dove nasce questa presa di posizione? La posizione di Facebook nasce dal fatto che il social network blu cerca disperatamente di passare dalla parte dei “buoni” e sfuggire dalle ire dei “regulators” sia in USA sia in Europa e intercettare gli ingenti guadagni che derivano dalle campagne elettorali.
Facebook ha infatti alle spalle una storia parecchio travagliata, la piattaforma è stata utilizzata per manipolare l’opinione pubblica durante le elezioni USA nel 2016 e queste manipolazioni hanno portato un notevole beneficio a Donald Trump, il suo stesso campaign manager Brad Parscale ha dichiarato che Facebook ha avuto un ruolo fondamentale nel 2016. E probabilmente lo avrà anche nel 2020.
Nel 2018 inoltre abbiamo saputo che la società di analisi Cambridge Analytica ha lavorato con il team di Trump, sfruttando i dati di milioni di profili Facebook di cittadini americani per inviare pubblicità politica mirata. Questo ha causato la convocazione di Zuckerberg da parte del Congresso nella primavera del 2018, la piattaforma aveva permesso che 2 miliardi di utenti nel mondo avessero i loro profili analizzati e utilizzati per manipolare le loro opinioni politiche. Zuckerberg promise che avrebbe fatto di tutto per rimediare a questi errori.
A quanto pare però arginare le fake news e evitare che le persone siano “manipolate” è un discorso ben diverso dal censurare pensieri che potrebbero risolversi in comportamenti aggressivi solo se questi pensieri però provengono dalle istituzioni, Facebook quindi non “modererà” la comunicazione istituzionale che avviene sul suo social network, ma a quanto pare nemmeno cercherà di renderlo meno divisivo modificando l'algoritmo per evitare l'eccessiva esposizione a contenuti "aggressivi".
E’ interessante notare come qualche giorno prima dell’inizio dello scontro tra Trump e Twitter un articolo pubblicato sul Wall Street Journal sosteneva come i dirigenti di Facebook avessero deciso di fermare l’applicazione ai prodotti di Facebook di una ricerca che avrebbe reso il social network meno “divisivo” per la preoccupazione di colpire eccessivamente, piccoli bacini di utenza specificatamente di estrema “destra” e “conservatori”, che sembrerebbero più sensibili alla disinformazione.
Sin dal 2016 Facebook sa per certo che il suo algoritmo attuale esacerba le differenze tra le persone per risultare più appetibile al suo pubblico, come la nicotina nelle sigarette, Facebook usa il “conflitto” e “l’indignazione” per fare si che gli utenti stiano all’interno della sua piattaforma e continuino a commentare, condividere e guardare video.
Questo sicuramente non contribuisce a creare un dialogo “costruttivo” e non è forse comunque una forma di “manipolazione” del pensiero delle masse? Se ti venisse proposta una visione “distorta” del mondo non si starebbe forse modificando la tua visione delle cose che andrebbe a discostarsi quindi dalla realtà?
Per i ricercatori interni all’azienda a quanto pare sì, visto che Facebook doveva costruire degli strumenti per “neutralizzare” i contenuti presentati agli utenti su vari argomenti soprattutto politici e sociali, così da evitare questa alterazione, non censurare attenzione ma evitare la presentazione di contenuti che esaltavano punti di vista estremisti.
La stessa ricerca puntava a specificare come fosse necessaria una presa di posizione morale sulla questione. Ovviamente tutto è stato fermato e ostacolato da Mark Zuckerberg secondo i report, a quanto pare, non sarebbe disposto a diminuire i profitti di Facebook, meno persone sulla piattaforma vuol dire meno ricavi dalla pubblicità. Guardacaso anche la mossa di non censurare Trump permette di mantenere più utenti sulla piattaforma oltre che evitare il conflitto con il presidente.
A quanto pare però le parole di Mark Zuckerberg non sono bastate al presidente Donald Trump che ha deciso di procedere con un ordine esecutivo che chiede di rivedere la “Sezione 230” del Communication Decency Act che conferisce l’immunità alle compagnie su internet per il contenuto che ospitano prodotto dai loro utenti. Senza questa immunità non potrebbero operare come fanno in questo momento, dovrebbero censurare preventivamente qualsiasi contenuto possa essere ritenuto offensivo, per evitare di finire in tribunale.
Ovviamente questa è una mossa politica, Trump sa perfettamente che lui stesso è il primo beneficiario della “Sezione 230” e probabilmente il suo ordine esecutivo non darà corso ad alcuna modifica, semplicemente ha deciso di cogliere “due piccioni con una fava”, creando un nuovo nemico per l’opinione pubblica “i social networks della Silicon Valley che vogliono imbavagliare il popolo americano” ma soprattutto rafforzando il suo rapporto con Facebook, che è quello che realmente conta, almeno fino al 3 Novembre 2020.
Dopo le proteste interne Mark Zuckerberg ha dovuto rispondere alle critiche, dei suoi stessi dipendenti, la strategia di lasciare alle persone la possibilità di scegliere in “cosa credere” non era la risposta che in molti si aspettavano. Infatti nella giornata di ieri Mark Zuckerberg ha rilasciato una lunga dichiarazione sul suo profilo Facebook, in cui dichiara che la compagnia modificherà la sua politica “sulle minacce e sull’uso della forza” soprattutto nei casi in cui vi siano proteste e conflitti violenti.
Facebook modificherà le sue policy sulla moderazione del contenuto, trovando una via di mezzo tra il rimuoverlo totalmente o lasciarlo online senza alcuna modifica. Inoltre, Facebook lavorerà per migliorare la trasparenza intorno a come vengono prese queste decisioni e cercherà di effettuare modifiche strutturali per permettere a tutte “le voci di essere ascoltate”. E’ importante notare che la forza lavoro di Facebook è composta da meno del 10% di persone ispaniche o di colore.
Questo è il quadro generale sulla vicenda, è possibile sicuramente vedere la faccenda in due modi uno ottimista e uno pessimista.
Ci sono gli ottimisti, che sostengono che i social networks non sono buoni o cattivi, sono semplicemente uno strumento molto potente. I suoi usi impropri spesso ottengono più attenzione di quelli propri, però quando questo strumento viene usato in maniera positiva, per esempio attirando l’attenzione sull’uccisione di un uomo innocente da parte della polizia, i benefici sono superiori agli svantaggi. Quest’anno è sicuramente un periodo difficile nella storia, ma preservare la libertà di espressione permetterà ad altri movimenti di far sentire la loro voce in futuro. Mark Zuckerberg è sicuramente un ottimista.
Ci sono i pessimisti, che sostengono che i social networks sono sfruttati da personaggi negativi che li utilizzano a proprio vantaggio per consolidare il loro potere. Il presidente, per esempio, ha utilizzato queste piattaforme per parlare alla polizia incitandola alla violenza e per sopprimere la voce dei manifestanti pacifici dipingendoli come violenti. Utilizzando quindi la sua voce, amplificata dagli algoritmi dei social network per sovrastare quella di altri. I pessimisti inoltre sostengono che è impossibile tagliare fuori la politica dai social networks, soprattutto perché la politica finanzia la costruzione di questo potente megafono.
Grazie per aver letto fino alla fine questa newsletter, ti ricordiamo che fa parte di un esperimento che porteremo avanti nel corso di quest'anno, potrai leggerla ogni Sabato su Inforge, attualmente è possibile (registrando un account su Inforge) seguire la sezione "Newsletter e Articoli", ti sarà recapitata una mail ogni volta che una nuova discussione sarà creata.
Numero 01 - Data 06/06/2020 - Made with ❤ for Inforge
- Twitter contro il Presidente degli Stati Uniti d'America.
- La gestione dei contenuti su Facebook.
- Il rapporto tra Facebook e la Politica.
- La risposta di Facebook alle critiche interne e esterne.
- Le possibili conclusioni della vicenda.
E’ sicuramente un periodo molto particolare eravamo in procinto di tornare alle nostre vite dopo un’epidemia, non ancora conclusasi, ma un nuovo scenario di crisi sicuramente significativo per il mondo occidentale si sta aprendo, parlo chiaramente delle tumultuose proteste negli Stati Uniti per l’uccisione di George Floyd. Queste proteste sono lo sfondo violento, dei fatti che andremo a discutere.
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump è un assiduo utilizzatore di social network infatti il suo profilo Twitter con oltre 30,4 milioni di followers è il suo mezzo preferito per permettere alla stampa e all’opinione pubblica di sapere quali sono i suoi pensieri e le sue opinioni in tempo reale. Giovedì 28 Maggio, durante la notte (Washington Time), il presidente decide di tweetare questa frase “When the looting starts, the shooting starts” riprendendo la frase pronunciata nel 1967 dal capo della polizia di Miami tale Walter Headley.
Due ore dopo l’invio del tweet, Twitter decide di “oscurarlo” rendendolo accessibile solo dopo aver letto la seguente dichiarazione “Questo tweet viola le regole di Twitter sulla glorificazione della violenza. Tuttavia, Twitter ha rilevato che è di pubblico interesse che questo contenuto rimanga accessibile”. Inoltre al fine di evitarne la capillare diffusione (tramite i retweet) ne disabilita la visione sul profilo degli altri utenti e ne disabilita le risposte, notificando gli utenti con una frase “Vorremmo prevenire che un tweet come questo che viola le nostre regole raggiungesse più persone per questo abbiamo limitato la possibilità di interagire con esso”. A quanto pare anche il pubblico a cui è “servito” il tweet del presidente tramite il feed è stato ristretto (in accordo alle policy di Twitter). La risposta da parte dell’amministrazione Trump non tarda ad arrivare, infatti Venerdì mattina il profilo ufficiale della White House invia lo stesso tweet mettendo tra virgolette le parole del presidente, anche in questo caso Twitter procede a oscurare il messaggio.
Lo scontro tra la politica e i social networks pare essere inevitabile, le piazze virtuali ormai non possono più sottrarsi al loro compito di “gestione” delle notizie e del contenuto, non possono più limitarsi a pubblicare qualsiasi cosa permettendone la diffusione e amplificandola, soprattutto se il contenuto errato o violento proviene dalle istituzioni. Così come un giornale non può pubblicare notizie palesemente false o distorte.
Trump quindi decide di emanare un ordine esecutivo per rivedere la “Sezione 230” del Communication Decency Act. Ma a questo torneremo dopo...Le azioni del presidente scatenano una risposta “fuori dal coro” infatti Mark Zuckerberg il CEO di Facebook non la pensa come Jack Dorsey il CEO di Twitter, dopo poche ore dall’avvenimento di quanto raccontato fino ad ora, rilascia a Fox News (una delle televisioni più vicine al presidente Donald Trump) una dichiarazione molto netta “I just believe strongly that Facebook shoudn’t be the arbiter of truth of everything that people say online” una visione diametralmente opposta a quella di Twitter.
Ma da dove nasce questa presa di posizione? La posizione di Facebook nasce dal fatto che il social network blu cerca disperatamente di passare dalla parte dei “buoni” e sfuggire dalle ire dei “regulators” sia in USA sia in Europa e intercettare gli ingenti guadagni che derivano dalle campagne elettorali.
Facebook ha infatti alle spalle una storia parecchio travagliata, la piattaforma è stata utilizzata per manipolare l’opinione pubblica durante le elezioni USA nel 2016 e queste manipolazioni hanno portato un notevole beneficio a Donald Trump, il suo stesso campaign manager Brad Parscale ha dichiarato che Facebook ha avuto un ruolo fondamentale nel 2016. E probabilmente lo avrà anche nel 2020.
Nel 2018 inoltre abbiamo saputo che la società di analisi Cambridge Analytica ha lavorato con il team di Trump, sfruttando i dati di milioni di profili Facebook di cittadini americani per inviare pubblicità politica mirata. Questo ha causato la convocazione di Zuckerberg da parte del Congresso nella primavera del 2018, la piattaforma aveva permesso che 2 miliardi di utenti nel mondo avessero i loro profili analizzati e utilizzati per manipolare le loro opinioni politiche. Zuckerberg promise che avrebbe fatto di tutto per rimediare a questi errori.
A quanto pare però arginare le fake news e evitare che le persone siano “manipolate” è un discorso ben diverso dal censurare pensieri che potrebbero risolversi in comportamenti aggressivi solo se questi pensieri però provengono dalle istituzioni, Facebook quindi non “modererà” la comunicazione istituzionale che avviene sul suo social network, ma a quanto pare nemmeno cercherà di renderlo meno divisivo modificando l'algoritmo per evitare l'eccessiva esposizione a contenuti "aggressivi".
E’ interessante notare come qualche giorno prima dell’inizio dello scontro tra Trump e Twitter un articolo pubblicato sul Wall Street Journal sosteneva come i dirigenti di Facebook avessero deciso di fermare l’applicazione ai prodotti di Facebook di una ricerca che avrebbe reso il social network meno “divisivo” per la preoccupazione di colpire eccessivamente, piccoli bacini di utenza specificatamente di estrema “destra” e “conservatori”, che sembrerebbero più sensibili alla disinformazione.
Sin dal 2016 Facebook sa per certo che il suo algoritmo attuale esacerba le differenze tra le persone per risultare più appetibile al suo pubblico, come la nicotina nelle sigarette, Facebook usa il “conflitto” e “l’indignazione” per fare si che gli utenti stiano all’interno della sua piattaforma e continuino a commentare, condividere e guardare video.
Questo sicuramente non contribuisce a creare un dialogo “costruttivo” e non è forse comunque una forma di “manipolazione” del pensiero delle masse? Se ti venisse proposta una visione “distorta” del mondo non si starebbe forse modificando la tua visione delle cose che andrebbe a discostarsi quindi dalla realtà?
Per i ricercatori interni all’azienda a quanto pare sì, visto che Facebook doveva costruire degli strumenti per “neutralizzare” i contenuti presentati agli utenti su vari argomenti soprattutto politici e sociali, così da evitare questa alterazione, non censurare attenzione ma evitare la presentazione di contenuti che esaltavano punti di vista estremisti.
La stessa ricerca puntava a specificare come fosse necessaria una presa di posizione morale sulla questione. Ovviamente tutto è stato fermato e ostacolato da Mark Zuckerberg secondo i report, a quanto pare, non sarebbe disposto a diminuire i profitti di Facebook, meno persone sulla piattaforma vuol dire meno ricavi dalla pubblicità. Guardacaso anche la mossa di non censurare Trump permette di mantenere più utenti sulla piattaforma oltre che evitare il conflitto con il presidente.
A quanto pare però le parole di Mark Zuckerberg non sono bastate al presidente Donald Trump che ha deciso di procedere con un ordine esecutivo che chiede di rivedere la “Sezione 230” del Communication Decency Act che conferisce l’immunità alle compagnie su internet per il contenuto che ospitano prodotto dai loro utenti. Senza questa immunità non potrebbero operare come fanno in questo momento, dovrebbero censurare preventivamente qualsiasi contenuto possa essere ritenuto offensivo, per evitare di finire in tribunale.
Ovviamente questa è una mossa politica, Trump sa perfettamente che lui stesso è il primo beneficiario della “Sezione 230” e probabilmente il suo ordine esecutivo non darà corso ad alcuna modifica, semplicemente ha deciso di cogliere “due piccioni con una fava”, creando un nuovo nemico per l’opinione pubblica “i social networks della Silicon Valley che vogliono imbavagliare il popolo americano” ma soprattutto rafforzando il suo rapporto con Facebook, che è quello che realmente conta, almeno fino al 3 Novembre 2020.
Dopo le proteste interne Mark Zuckerberg ha dovuto rispondere alle critiche, dei suoi stessi dipendenti, la strategia di lasciare alle persone la possibilità di scegliere in “cosa credere” non era la risposta che in molti si aspettavano. Infatti nella giornata di ieri Mark Zuckerberg ha rilasciato una lunga dichiarazione sul suo profilo Facebook, in cui dichiara che la compagnia modificherà la sua politica “sulle minacce e sull’uso della forza” soprattutto nei casi in cui vi siano proteste e conflitti violenti.
Facebook modificherà le sue policy sulla moderazione del contenuto, trovando una via di mezzo tra il rimuoverlo totalmente o lasciarlo online senza alcuna modifica. Inoltre, Facebook lavorerà per migliorare la trasparenza intorno a come vengono prese queste decisioni e cercherà di effettuare modifiche strutturali per permettere a tutte “le voci di essere ascoltate”. E’ importante notare che la forza lavoro di Facebook è composta da meno del 10% di persone ispaniche o di colore.
Questo è il quadro generale sulla vicenda, è possibile sicuramente vedere la faccenda in due modi uno ottimista e uno pessimista.
Ci sono gli ottimisti, che sostengono che i social networks non sono buoni o cattivi, sono semplicemente uno strumento molto potente. I suoi usi impropri spesso ottengono più attenzione di quelli propri, però quando questo strumento viene usato in maniera positiva, per esempio attirando l’attenzione sull’uccisione di un uomo innocente da parte della polizia, i benefici sono superiori agli svantaggi. Quest’anno è sicuramente un periodo difficile nella storia, ma preservare la libertà di espressione permetterà ad altri movimenti di far sentire la loro voce in futuro. Mark Zuckerberg è sicuramente un ottimista.
Ci sono i pessimisti, che sostengono che i social networks sono sfruttati da personaggi negativi che li utilizzano a proprio vantaggio per consolidare il loro potere. Il presidente, per esempio, ha utilizzato queste piattaforme per parlare alla polizia incitandola alla violenza e per sopprimere la voce dei manifestanti pacifici dipingendoli come violenti. Utilizzando quindi la sua voce, amplificata dagli algoritmi dei social network per sovrastare quella di altri. I pessimisti inoltre sostengono che è impossibile tagliare fuori la politica dai social networks, soprattutto perché la politica finanzia la costruzione di questo potente megafono.
Grazie per aver letto fino alla fine questa newsletter, ti ricordiamo che fa parte di un esperimento che porteremo avanti nel corso di quest'anno, potrai leggerla ogni Sabato su Inforge, attualmente è possibile (registrando un account su Inforge) seguire la sezione "Newsletter e Articoli", ti sarà recapitata una mail ogni volta che una nuova discussione sarà creata.